Qui ancora
Sul tetto dell'insegna
azzurra, la notte finge.
Tra una lettera e l'altra
è caldo anche senza luna.
Non ho vertigini se rubo
le storie dalle finestre.
Urla lontane. È piacere
o dolore? L'azzurro cade
nel giallo di vie vuote.
Ci sei solo tu che sali
sul bus senza conducente.
Sosia
Sosia, segni
nei minuti difficili.
E sfoco gli occhi:
diventano veri.
Era una foto
Dormivi sul treno, china sul sedile di fianco, appoggiata sullo zaino. Così strana e contorta la tua posizione, così disordinati ma geometrici i tuoi capelli. Non volevo dimenticare la smorfia sul tuo viso, una scia irripetibile di dolore e tenerezza.
Dovevo al più presto farti una foto. Avrei saputo esattamente come inquadrarti, mi sembrava di conoscerti da anni, e invece erano minuti. La macchina fotografica, tra le mie mani, non aveva il coraggio di guardarti. Dovevo farlo e non pensare alle conseguenze: le risate dei vicini, il nostro rossore, la mia fuga, le gallerie senza respiro.
E non potevo chiederti il permesso. Quella smorfia, fragile e perfetta, sarebbe scomparsa. Avresti provato a ricrearla, ma consapevole, rigida, facendo sembrare finte anche le ombre sulle tue mani. Avevo paura e ti guardavo, solo io, e le Dolomiti, al tuo fianco, sembravano così piccole.
Sono sceso, e ha continuato a inseguirmi quell'immagine perduta. Mi consolano queste parole, e quella frazione di secondo, in cui tu hai aperto gli occhi, mi hai guardato, e hai capito tutto.
Sconosciuto
Tra la gente cammini.
Sempre solo. Con il tuo ombrello piccolo.
Ti guardano male, il cielo è sereno.
Trascini la gamba.
Lo fai per scelta o ti fa male?
Capelli lunghi, legati,
occhiali grandi,
occhi piccoli.
Da lontano sembri vecchissimo.
Forse ne hai quaranta.
Dentro la folla di un concerto cammini.
E guardi per terra le bottiglie vuote.
Sfiori la gente. Ti guardano male.
Non hai niente di cattivo.
Un tuo applauso. Che tipo di applauso?
Inizia a piovere forte. E tutti corrono.
Rimani solo. Al centro. Con il tuo ombrello piccolo.
Suonano per te.
La mia città
Con parole sbagliate
descrivo quel secondo
davanti allo specchio.
Rotto, sentivo dentro
il dolore di tutte le città.
Il pianeta nuovo
Cammino nella via in cui è sempre notte. Per terra una scarpa da uomo e una scarpa da donna. I resti di un amore che il clochard sempre attento raccoglierà. Lampioni senza luce nascondono il dormitorio senza letti. Una ciminiera in obliquo fuma nuvole d'asfalto. Ma io vedo il sentiero d'estate che porta al fiume e i colori delicati dei pioppi che resistono ancora.
C'è un passeggino rotto dentro le campane che non suonano. Un figlio dei genitori senza scarpe. E non sono stelle le scintille del traliccio. Il bus alla fermata evita l'uomo che non vuole mentire. Qualcuno sfonda una vetrina e ruba coerenza per offendere chi ruba. Poi cerca pari diritti ma sono scomodi e preferisce quelli dispari. Davanti alla casa senza rispetto una donna cammina con sguardo volgare.
Ma io vedo gli occhi sinceri della ragazza del pianeta nuovo. Il suo profumo vicino quaranta anni luce. Senza paura ci vediamo? Mi cade il telescopio, e torno nella via principale.
Salvezza
se tocco il mare
sopravvivo
togliendo alla paura le onde
leggendo ossi di seppia
questo petrolio sparisce
Passeggeri
il ritratto di Tarkovskij
nel libro trema sul treno
nascosto a metà da una pagina
visto dal lato di un occhio
quando sento una città che passa
senza dolore
per un secondo o due
sembra guardarmi
Breve
Scrivo nei minuti tranquilli per ricordarli nei minuti confusi. La finestra è socchiusa, filtra i riflessi. Sul soffitto si appoggia la strada. Non sento parole violente. Solo un vento calmo che confondo con una voce di donna. Sei unica o ecolalìa? Seria, mi guardi. Ma è troppo breve. La strada torna nella strada. La voce si schianta. E mi ricordo che sono nella città, nella città che uccide i fiumi.
Un'altra finestra
Rubo:
i pensieri di una donna tra le montagne blu, due cani che si salutano dagli angoli della città, le vie e le parole nascoste dalle facciate rosse, i fili dei tram persi nella luce, il pulviscolo in cui ci incontravamo, lo sguardo vuoto di un uomo che non conosce la donna che pensa, gli errori che vorrei non fare, i palazzi e le crepe che diventeranno virgole, una voce che sembra una notte, qualche domanda, qualche coincidenza, un riflesso che sembra un lago, delle barche, la marea
A volte
mi accontento di essere
dentro il tuo campo visivo
Solo gocce
La ragazza con il vestito giallo non ha occhi, solo piedi curati. Sopra il tavolo le posate si scontrano con sorrisi automatici. La sinfonia di Beethoven è lontana e si scioglie travolta dal fiume del bicchiere che si apre. Frammenti di infelicità riflettono parole fatue. Da sempre per sempre? Rimangono gocce nascoste che raccolgo e infilo nella piccola scatola che un giorno, se vuoi, ti presterò.
Cerco
cerco pensieri profondi
nella via che non vuole pensare
cerco la ragazza del quinto piano
nella casa che ha quattro piani